top of page

L’eco è una voce che si moltiplica e cerca se stessa all’infinito. Non è la risposta alla domanda perché è la domanda che si ripete. Non è un dialogo ma solo una specie di magia che ci illude di essere in compagnia, di essere ascoltati, pur essendo in realtà da soli. – 8 – La metafora scelta da Nadia Consani per la sua silloge gioca appunto con tale illusione.
Eco è un riflesso di carattere acustico. Secondo Ovidio e nel mito, era una ninfa chiacchierona condannata da
Giunone a dovere ripetere solo le ultime parole che le venivano rivolte o sentiva. Quindi non riuscì più a parlare autonomamente, poteva solo riferire, rimandare, rispecchiare le parole d’altri. E il poeta si sente spesso così: Un petalo non fa il fiore/ non fa l’albero una foglia,/ né una goccia d’acqua/ può formare un lago,/ così la mia voce/ è solo piccolezza. C’è una specie di contrappasso, secondo Nadia Consani: come se la conoscenza emotiva, la consapevolezza del profondo di sé - che trabocca di sensazioni e del bisogno di condividere - non riuscisse poi mai davvero a trovare le parole. Come se il silenzio fosse davvero l’unica forma possibile di trasmissione, un vuoto di suono che contenga ogni potenzialità verbale. L’eco non è comunicazione, non permette scambio, illude e in un certo senso illudendo consola. L’emozione chiama se stessa, in un moltiplicarsi eterno di voce. E cerca, disperata, dall’altra parte della valle, una corrispondenza. Il poeta lo sa, sa che l’uomo è troppo spesso privato della parola, e cerca di donargliela. Eco, nel mito, è già priva della parola quando incontra Narciso e se ne innamora. Lo ama e non può dirglielo. In quel mutismo costretto, lentamente si spegne. Si riduce a un sasso. Pietra. Rigore. Immobilità. In lei tutti i poeti del mondo sublimano la ricerca del dire, di arrivare agli altri per tramite del verso. Eco è sasso nell’acqua. In quello specchio d’acqua Narciso vede riflessa la – 9 – propria immagine e se ne innamora. Non potendo però amarsi in quell’immagine, grida disperato il proprio dolore. E gridando dà voce ad Eco, che gli risponde in un gioco di riflessi tra l’acustica e il visivo. Nadia Consani non è Narciso e nemmeno Eco. Lei è, coi suoi testi, quello specchio d’acqua. La coltre trasparente che separa e unisce allo stesso tempo. Lei racconta di emozioni quotidiane, vere, senza miti e senza filtri. Parla di gioie, delusioni, di rabbia e sorpresa. E lo fa in modo semplice, giocando poco con metrica e retorica. Lo fa come quando si sta attorno a un falò in spiaggia d’estate e ci si dice la vita senza troppa paura, nella leggerezza della brezza notturna d’agosto.
Monia B. Balsamello

"La pittura è una cosa seria" -  prefazione di Cristiano Sias

 

Chiunque si appresti a leggere una poesia si trova più o meno consapevolmente davanti a una scelta. Per semplicità esplicativa possiamo richiamare l’accezione comune del turista e del viaggiatore, interpretando il “viaggio” come una visione più ampia del nostro stesso vissuto. In realtà qui l’effetto è più immediato: ogni poesia può essere vista come un muro, la musica ti attrae, la parola ti seduce, l’immagine ti avvolge ed emoziona. Il lettore può decidere se fermarsi a guardare il muro o andare oltre.
In questa raccolta Nadia Consani ci mostra la sua realtà, quasi rovesciando le priorità. Si potrebbe dire che il fanopeico pennello delle sue parole si rivolge alla musica che ognuno di noi si porta dentro, ma non è proprio così. E’ la semplicità, l’umiltà che la guida, semplicemente dicendo a chi legge: “venite subito oltre il muro, potrete guardare dopo ciò che sentite all’esterno”.
“La pittura è una cosa seria” scrive il Caglioni, aggiungendo “dipingo la realtà così come la vedo e la interpreto” e l’autrice fa suo questo pensiero, cosciente del rischio di un impatto critico superficiale in un’epoca di rappresentazione professionale e cinica come la nostra. Oggi tutto ciò che vediamo è immagine, ogni aspetto figurativo della nostra società si confonde in questa parola e possiamo avere la certezza che solo l’arte  non possa fare a meno della “reale realtà”. E’ passato un secolo da quando con l’avvento della fotografia alcuni osavano persino dare per spacciata la stessa pittura, non ”immaginando” quanto invece esse avrebbero non solo camminato accanto ma cercato e trovato nuove forme espressive, nuova creatività. Questi nuovi metodi e/o tecniche di raffigurazione e comunicazione, sposandosi con esse le avrebbero poi guidate per strade diverse e complementari, a dispetto del virtualismo mediatico che tutto intende livellare ed equiparare. Ho fatto questa premessa perché fin dalla prima poesia di questa raccolta salta agli occhi la verità di uno sguardo senza contaminazioni, la limpidezza della poesia naturale e spontanea. Si fondono qui il niente e il tutto, indispensabili l’uno all’altro nel loro innamorato gioco di contrasti, come l’esserci e fuggire di ogni animo inquieto che nell’unione trova la propria luce, sullo sfondo di un senso di incertezza che più che darci risposte pone domande all’animo del lettore.
La “precaria perfezione” di Nadia Consani ci fa pensare alla “precaria proprietà” di Emily Dickinson: “Nessuna Vita è Rotonda - perché - soltanto le esistenze semplici possono ambire alla perfezione del cerchio”, come ricorda Ierolli. E il dolore ci attraversa, senza lamentarsi, il dolore della forza che è la coscienza della propria debolezza: “tanto non muore, non prova dolore” scrive l’autrice, e quelle parole diventano versi gettati in faccia al mondo intero come frammenti di specchio, taglienti e riflettenti il viso di ognuno di noi. Nel cerchio di Nadia Consani la ricerca cammina e ondeggia, a volte malinconica, ingenua, anche distratta e confusa in passaggi di distaccato lirismo, per poi ritornare con i piedi ben saldi verso il sogno, quasi a dire “ecco, ci ho provato a non essere poeta”. Così mentre il vecchio pittore partecipa in un trionfo di colori che sembra ricordare la giovinezza perduta, l’analisi di coscienza interpreta un j’accuse al mondo e alle sue maschere, mentre al clown senza inganno si contrappongono le illusioni, le foschie senza stelle ed è nel silenzio più totale che il rumore dei pensieri diventa un tuono nel vortice della vita, nella luce di esplosioni di bombe che uccidono solo chi le lascia cadere. La realtà può apparire come un dipinto surreale, ma cosa separa “la realtà inevitabile dal sogno irraggiungibile”?  Perché il paradiso potrebbe essere qui, come lo è l’inferno, senza aspettare la notte. Questo ci dicono le sue poesie, non aspettatevi metrica, non cercate il pelo nel ritmo, non sforzatevi a trovare rivelazioni o novità da audience: è una poesia che carezza il cuore, che vive il quotidiano, figlia dell’espressionismo del nostro tempo, una poesia che pone le basi e indossa le ali per qualcosa di più ampio e universale che – siamo certi – Nadia Consani ci farà leggere in futuro. E “poi… ne assapori il gusto”,  anzi ne assaporiamo. Con questi occhi infatti il poeta vuole guardare le “permanenti realtà” dal lontano al vicino, per immergersi nella totalità dell’essere, assorbendo il dipinto con una tale passione che anche il buio diventa complice, toccando momenti di semplicità come Saba, di analisi  alla Palazzeschi e solarità alla Merini, senza dimenticare di assumersi la responsabilità di una chiara posizione nel sociale. Il lettore più attento potrà ritrovare anche i passaggi sconsolati di un Baudelaire meno conosciuto, quello che sembrava eresia avvicinare al Foscolo o al Carducci, anch’essi – soprattutto il secondo – così solari e avversi al “pallore del pianeta”.
Nomi grandi, certo, ma chi decide cosa sia grande o piccolo in poesia? Il Tempo, perché il presente è sempre così ripiegato nell’illusione del condizionamento e solo tagliando i fili il burattino può riprendere la propria identità e alzare “gli occhi al cielo”. Per ritornare poi nel giardino dove è caduto un pezzo di luna, intorno al vecchio casolare che collega passato e futuro in un’unica immagine di suoni e parole: il casolare della poesia.

bottom of page