top of page

Il pezzetto di stoffa

Introduzione
La stanza è illuminata da due grandi finestre che guardano le acque scure del lago. I mobili intorno sono moderni e in disaccordo con una vecchia scrivania di noce, messa in bella vista vicino ad una delle finestre. E’ uno scrittoio pieno di tarli e vita vissuta, che mantiene intatta la sua imponenza in mezzo a quegli anonimi pezzi di legno senza valore e senza storia.
Francesco è appena uscito dalla doccia e ancora con l’accappatoio indosso, va a controllare se è arrivata la posta elettronica.
Il disordine non è mai esistito nella vita di questo giovane uomo dall’aria sempre sognante e tutto, nella sua casa, è posizionato con meticolosa precisione. Anche quando viene Maria, una donna di mezza età, grassoccia e rubiconda, vuole che non sposti niente, quando pulisce.
Apre il computer e mentre aspetta che si accenda il monitor, posa lo sguardo su una vecchia scatola di latta, un po’ arrugginita e con i decori ormai sbiaditi.
É da un po’ di tempo che non sofferma il suo pensiero su quella reliquia, come se volesse cancellare uno spicchio del suo passato pieno di dolore e brutti ricordi.
É particolarmente euforico oggi, perché il suo capo si è complimentato con lui per una ricerca di informatica molto importante che ha sviluppato da solo. Quindi, aprire quella scatola e ricordare, non avrebbe sminuito il presente ma avrebbe rafforzato la sua convinzione che non sempre ciò che è doloroso va rimosso.
Ogni volta che Francesco alzava il coperchio e guardava dentro, provava sempre un’emozione strana che gli faceva tremare la mano, ma questa volta no, sembra che oggi, abbia portato alla luce qualcosa che non gli appartiene più.
Un pezzetto di stoffa a quadri, di lana scolorita e tutto sfilacciato si è affacciato timidamente dal fondo della piccola scatola per vomitare, senza pudore, i ricordi tristi della sua infanzia.
Cap. 1
Valeria era una ragazza appariscente, nonostante fosse magra e con i seni molto piccoli. Forse il suo trucco pesante contribuiva a renderle lo sguardo magnetico che incantava i ragazzi e il suo abbigliamento stravagante, con pantaloni stretti da non respirare, i tacchi a spillo e i capelli biondi, la ponevano sempre al centro dell’attenzione.
Consapevole di piacere agli uomini e soprattutto a se stessa, dedicava tante ore alla sua persona e trascurava tutto il resto, preoccupandosi solo di apparire.
Si innamorò di un giovane medico, anche lui egocentrico e narcisista, e insieme programmarono una vita fatta di divertimenti, pasti frugali mai cucinati e viaggi.
Si dovettero però sposare dopo pochi mesi, perché “quel giorno” qualcosa non funzionò e lei rimase incinta.
Valeria non voleva quel bambino, avrebbe perso la sua linea da indossatrice; non sopportava di arrivare a nove mesi di gravidanza con la pancia come un sommergibile; nessuno avrebbe più guardato il suo sedere fasciato dai jeans e le sue lunghe gambe sui tacchi alti dieci centimetri.
Non lo voleva proprio quell’esserino che già cominciava a crescere dentro di lei, ma non aveva nemmeno il coraggio di abortire, quindi decise di portare avanti la gravidanza, senza ingrassare di un centimetro mangiando solo frutta e poco altro.
Allo scadere del tempo, con il suo fisico intatto e la pancia che si vedeva appena, partorì Francesco, un coniglietto di due chili che venne alla luce timidamente e senza piangere.
Non prendeva il latte dai seni della madre perché si sarebbero rovinati, ma imparò subito a nutrirsi dal biberon con avidità, come se per nove mesi non avesse mai mangiato.
Cresceva a vista d’occhio e come tutti i neonati sorrideva a tutti quelli che gli facevano le coccole.
Fisicamente era un bambino come gli altri, cresceva regolarmente, ma era troppo buono, per niente vivace.
Quando la madre, per sbrigare le sue cose, lo metteva seduto sopra una copertina a quadri, lui stava tutto il tempo a giocare con le frange di lana senza muoversi, non cercava di andare “gattoni” da qualche altra parte e non riusciva ad alzarsi.
Questo atteggiamento tranquillo di Francesco contribuiva a rilassare la madre che poteva così dedicare più tempo alle sue esigenze personali o lasciarlo senza troppi problemi ai nonni.
La copertina era diventata il suo unico “trastullo” e anche quando i genitori lo portavano fuori, Francesco la voleva con sé.
Ad un anno e mezzo di età non parlava e non camminava ancora da solo, ma per farsi capire aveva imparato almeno a piangere e ad indicare con la manina.
A due anni aveva imparato a stare in piedi ma non camminava da solo e preferiva stare seduto.
Il confronto con gli altri bambini della stessa età arrivò inesorabilmente, quando Valeria lo portò al parco.

Cap. 2
Lo aveva messo seduto sull’erba a giocare con la sua irrinunciabile copertina che cominciava a perdere qualche frangia, e una vecchia calcolatrice tascabile che lui aveva visto qualche giorno prima in mano al suo babbo.
Francesco in silenzio, passava il tempo così, mentre lei, seduta sulla panchina, si abbronzava al sole.
Si avvicinò una giovane signora, più o meno della sua stessa età, molto ben vestita e con un fisico quasi perfetto per il quale Valeria provò una punta di invidia.
Spingeva un passeggino con sopra un bambino vispo e paffutello che teneva in mano alcuni giocattoli.
«Posso sedermi? Sono stanca e mio figlio scalpita perché vuole giocare sull’erba».
«Prego. Fortunatamente mio figlio sta sempre buono a sedere e non mi fa stancare».
Mentre conversavano, la signora teneva d’occhio il suo piccolo che giocava, mentre Francesco, assorto nel “suo mondo”, si trastullava con le uniche due cose alle quali non rinunciava mai..
Valeria scoprì che i due bambini avevano quasi la stessa età ma la differenza di comportamento li rendeva diversi. Uno giocava allegro sgambettando vicino alla madre e chiedendo con curiosità la spiegazione di ogni cosa che vedeva, l’altro non diceva una parola e restava tranquillo dove era stato “parcheggiato”.
Divennero amiche, le due giovani donne, e scoprirono anche che i mariti si erano conosciuti ai tempi dell’università.
Quando Valeria e Carla uscivano insieme sembravano due sorelle e ovunque andassero attiravano l’attenzione dei giovani galletti che non avevano altro da fare, specialmente Valeria, che quasi li provocava con il suo sguardo magnetico.
Si sentiva attraente Valeria e quando poteva, lasciava Francesco dalla nonna per andare, da sola, in giro per il centro e mentre camminava, ammirava compiaciuta la propria immagine riflessa sulle vetrine.
Quando invece lo portava con sé, lui camminava con la copertina in mano che strascicava per terra, attaccato alla madre che, senza rivolgergli una parola, sbrigava frettolosamente le sue commissioni.
Carla non riusciva a capire perché l’amica si comportasse così. Distaccata e apparentemente senza troppo amore verso il figlio che invece pareva elemosinare, con quegli occhioni tristi, tanta attenzione.
Si chiedeva se tale atteggiamento fosse dettato da una immaturità materna, oppure  dalla paura di ammettere che aveva partorito, per sua negligenza, un figlio con problemi psicologici.
Le due donne, un giorno di primavera inoltrata, erano sedute su una panchina del parco e davano la merenda ai bambini.
Anche per mangiare, Francesco dava problemi alla madre.
Non voleva né la carne, né la pasta, preferiva solo lo yogurth e Valeria non aveva tempo da perdere per insistere a fargli apprezzare qualcosa di buono.
Così aveva inventato un modo per fargli mangiare la “benedetta” carne tanto utile alla crescita, come diceva sua madre. La mescolava con lo yogurth e con un cucchiaio e impazienza gli riempiva a forza la bocca con questo “intruglio”.
Carla osservava con disgusto questo rito così vomitevole e senza troppa diplomazia consigliò a Valeria di portare Francesco da uno specialista, non solo per il modo di nutrirlo, ma soprattutto per il comportamento troppo passivo del bimbo.
Suo padre era un medico, giovane ma pur sempre un medico, però obiettivamente non riusciva o non voleva riconoscere che suo figlio avesse qualche problema.
Finalmente si convinse a farlo controllare da persone più esperte, che dopo accurate analisi e test specifici, arrivarono ad una conclusione per niente positiva.
Francesco risultò autistico, anche se forse ci potevano essere delle probabilità di recupero.
Intanto lui continuava a vivere nel suo mondo, cresceva, restava a scuola con gli insegnanti di sostegno, non parlava volentieri con nessuno e iniziò pure la prima superiore in una scuola tecnica... fino a quando trovò per caso una calcolatrice.

Cap. 3
Francesco si guarda intorno, controlla se tutto è in ordine, poi torna con lo sguardo al pezzetto di stoffa.

Ecco che si ricorda di quando sua madre, presa da una crisi isterica per un litigio con il padre, tagliò la sua adorata copertina in tanti pezzetti e li gettò, con spregio, nella pattumiera di cucina.

Si era stufata di vedere sempre suo figlio assente, che si trascinava dietro in ogni luogo, quello stupido plaid che lei gli aveva “imposto” fin dalla nascita, tanto per farlo stare tranquillo e non farle perdere tempo.
Era piccolo, ma abbastanza grande per ricordarsi il motivo della litigata. I genitori stavano discutendo violentemente per motivi di corna... sì, sua madre si era fatta l'amante.
Era stata scoperta perché, stupidamente, faceva sempre apprezzamenti sul vicino di casa, quando lui passava da sotto le finestre per entrare in casa. Un po' come dire: “se io apertamente parlo di lui, chi sospetta che andiamo a letto insieme?”
Invece per casualità fu scoperta ugualmente e fu la fine del suo matrimonio e di quello del vicino.
Senza farsi vedere, Francesco era andato a prendere uno dei pezzetti di stoffa nel secchio dell'immondizia e lo aveva nascosto in una piccola scatola di latta, quella che ancora conserva con grande cura.
Finalmente il quadro del computer si è acceso e Francesco comincia a leggere le varie mail che sono arrivate.
Tutti chiedono consigli sul funzionamento del loro computer, come installare nuovi programmi e problemi di ogni genere che potrebbero risolverli leggendo su internet, ma preferiscono la sua consulenza diretta.
Prende, con la sua solita pignola precisione, tutti i numeri di telefono dei clienti e si riserva di chiamarli appena torna in ufficio, dopo aver dato qualche indicazione via mail ai problemi più semplici. Non vuole fare tardi. Non vuole deludere Gino, il “capo”, che è molto contento del suo lavoro perché, oltre ad essergli molto affezionato, può incrementare gli incassi del suo negozio di apparecchi elettronici e Francesco è affezionato a lui, perché lo ha aiutato a crearsi una vita.
Lo conobbe in un periodo un po' particolare, quando Francesco aveva cominciato a riaffacciarsi a quel mondo che non fosse esclusivamente il “suo”, e dimostrava un certo interesse per l'elettronica, della quale aveva avuto solo un'infarinatura alla scuola tecnica, durante il primo anno scolastico.
Grazie a quella calcolatrice di suo padre che aveva trovato quando ancora il mondo esterno era un'incognita per lui, conobbe Gino.

Cap. 4
Nello studio medico del padre, Francesco vide spuntare dal cestino della carta straccia, una piccola calcolatrice che sicuramente era stata gettata perché non funzionante, o ormai inservibile dal momento che sul computer si potevano fare anche i calcoli.
Si trovava dal padre perché la mamma era andata a fare delle compere importanti, così aveva detto, e non poteva portarlo con sé... tanto quel giorno non c'erano visite di pazienti e poteva restare mentre suo padre riguardava la contabilità. Nonostante Francesco fosse ormai un adolescente, ancora non si fidavano a lasciarlo troppo da solo.
Chiese a suo padre se poteva prendere la calcolatrice per provare a farla funzionare, così cominciò a smontare l'apparecchio e a fantasticare in quello spazio fatto di fili e bottoni. Fu il primo straordinario risultato positivo dopo anni di silenzio forzato, a far scattare la sua convinzione di voler approfondire la materia non più a scuola, dove veniva emarginato per la sua “riservatezza”, ma da un esperto che fosse paziente ad insegnargli.
Vicino alla sua abitazione, quando ancora stava con i genitori, c'era un negozio di computer e altri elettrodomestici, gestito da un ingegnere di una certà età, forse in pensione anticipata perché claudicante, Gino. Ogni volta che passava davanti alla vetrina Francesco si soffermava sempre, incantato da quegli oggetti ancora a lui sconosciuti e la sua fantasia correva, correva, fino a fargli desiderare di aprire un giorno quella porta.
L'occasione fu quando si accorse che la sua calcolatrice, smontata, saldato un filo che si era staccato e rimontata, stava funzionando ma non si accendeva il display. Aveva cercato di trovare il guasto ma non c'era riuscito, così si decise di entrare finalmente in quel negozio. Francesco aprì lentamente la porta di vetro e subito un campanello avvisava che qualcuno era entrato. Udì una voce che diceva “avanti!” e con esitazione si diresse verso quella voce che proveniva dall'interno di un'altro locale. Gino era nel suo ufficio, un bugigattolo con una finestra che non dava luce, ma tappezzato da tanti faretti che illuminavano fortemente i banchi sui quali teneva gli apparecchi da aggiustare.
Attaccati alle pareti c'erano attrezzi vari, alternati da vecchie stampe e attestati di partecipazione a diversi corsi di elettronica, un quadro ingiallito con la pergamena della sua laurea in ingegneria con il voto 110 e lode e qualche souvenir. Una scrivania di legno antico faceva da divisorio tra l'ufficio vero e proprio e l'officina; era ricoperta da schede, fascicoli e libri, lasciando soltanto lo spazio necessario per un computer, una tastiera e un posacenere pieno di cicche di sigari.
Francesco stava ancora a bocca aperta mentre si guardava intorno e cercava di leggere e capire la personalità dell'ingegnere, quando la voce di Gino lo scosse. “Allora, ragazzo, ti sei incantato? Cosa cerchi?”

Cap. 5
Francesco ricorda ancora con una certa commozione il primo incontro con l'ingegnere, perché da quel giorno, per tutti i giorni, ha continuato ad andare in quel bugigattolo, fino a diventare un bravo tecnico anche se senza diploma, ha cominciato a guadagnare tanto da rendersi indipendente, affittare una casa sul lago come ha sempre desiderato e aspettare di incontrare la ragazza dei suoi sogni.

Gino è stato come un secondo padre, se non di più, perché lo faceva parlare, lo rimproverava se sbagliava, ma poi lo elogiava se riusciva a riparare qualcosa. Gli insegnava i segreti dell'elettronica e ad entrare nel mondo del Web.
Adesso, può dire di sentirsi vivo.
Chiude il portatile, da un'occhiata al tavolo per vedere se tutto è nel solito ordine, toccando ogni cosa come a voler controllare che niente si sia spostato di un centimetro, chiude le tende delle finestre dando un ultimo sguardo al lago, ormai reso luminoso dai primi raggi del sole, poi torna indietro e chiude lentamente con meticolosa cura, la scatolina di latta.
Quello straccetto della vecchia copertina, in contrasto con il brutto periodo della sua infanzia, sarà il portafortuna della sua vita futura.

FINE

bottom of page