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UN UOMO D'ALTRI TEMPI


 

 

Cap. 1

Suo padre Guglielmo morì quando Leonetto aveva solo quattordici anni e lo lasciò solo con la famiglia formata dalla madre Ida e due sorelle, Ginetta, più grande di lui di quattro anni e Piera, più giovane di tre.

Guglielmo era un uomo stimato da tutti, molto saggio, a volte ironico e carico di ottimismo. Prima della guerra, la prima guerra mondiale (1915-1918), lavorava come capo-operaio in una piccola industria di calzature alla periferia della città, così che poteva mantenere la sua famiglia, senza navigare nell'oro, ma almeno decentemente.
Era un bell'uomo, alto, robusto e con un viso dalla pelle olivastra, sul quale spiccavano due baffi folti e scuri come i suoi capelli. Gli amici del bar, dove qualche volta si fermava a fare una partita a carte e bere qualcosa, lo chiamavano il bersagliere perché arrivava sempre di corsa e così faceva anche quando andava via per tornare a casa. Lui diceva che correva per mantenersi in forma, ma questa sua capacità di resistenza gli fu anche utile quando, durante la guerra, dovette arruolarsi nell'esercito come bersagliere.
Il 23 maggio 1915 le truppe italiane entrarono in guerra e il 10° reggimento dei bersaglieri, nel quale era arruolato Guglielmo, fu inviato in Albania.
A casa c'era Ida che l'aspettava, che pregava per lui, che voleva a tutti i costi che tornasse a casa vivo, perché voleva sposarlo e non passava giorno che lei non entrasse nella chiesetta vicino casa per accendere una candela alla Madonna. Ida si convinse che la Madonna l'aveva davvero ascoltata, quando un giorno sentì bussare alla porta e si trovò di fronte Guglielmo, stanco e dimagrito ma felice di essere ritornato da lei.
Da bambino, a Leonetto piaceva farsi raccontare da suo padre le avventure di quei giorni durante la guerra e mentre ascoltava, teneva tra le mani il suo cappello nero con il bel pennacchio lungo e lucido di penne di gallo cedrone e il fregio in metallo di colore oro.
Quando suo padre morì di setticemia, malattia allora poco conosciuta e difficilmente diagnosticabile, fece seppellire il cappello insieme a lui.

Cap. 2
Dopo la quinta elementare, Leonetto era andato ad imparare il mestiere di meccanico presso un'officina che riparava motori agricoli, perché quella era la sua passione, voleva diventare un meccanico specializzato e magari poi sarebbe potuto andare a lavorare in una grande industria.

A casa si divertiva a smontare e rimontare qualche pezzo di motore che veniva gettato nella discarica e per questo aveva attrezzato la sua soffitta con tutto il necessario.
Appoggiato al muro, sotto la finestra che guardava il porto, spiccava un bancone di legno sul quale teneva una vecchia morsa, un po' arrugginita ma sempre funzionante dopo che l'aveva ripulita e oliata; ci teneva particolarmente perché era stata comprata da suo padre in una bottega di ferramenta prima di partire per la guerra ed era sempre rimasta sul bancone per tutto quel tempo. Alle pareti, attaccate a dei grossi chiodi, c'erano chiavi da meccanico di ogni misura, disposte a scala di grandezza. Barattoli di varie misure che contenevano dadi, chiodi, riparelle, viti, erano disposti sopra una mensola come le massaie mettevano la marmellata. E poi c'era un odore particolare in quella soffitta, l'odore dell'olio e del grasso da motori, della benzina... gli odori della passione di Leonetto.
Dopo diversi anni che lavorava, quello che guadagnava all'officina serviva per mantenere la sua famiglia e per alleggerire la fatica di sua madre che cuciva, in una cooperativa, le divise per l'Unione militare.
Le sue sorelle facevano ben poco, a parte le faccende di casa, e soprattutto pensavano a trovare presto un marito che facesse fare loro una vita migliore.
La più grande, alla quale Leonetto era più affezionato non tanto per imparzialità verso l'altra sorella ma perché Ginetta lo aveva seguito e curato di più essendo la maggiore, si fidanzò e si sposò dopo un anno.
Aveva conosciuto nel circolo vicino casa, dove la domenica ballavano, un bel ragazzo alto, con gli occhi da gatto, pelle abbronzata, ma semplice di modi. Faceva il contadino e coltivava ogni tipo di verdure su un piccolo pezzo di terra alle porte della città, di fronte al cimitero monumentale. Allevava anche conigli, polli e galline, che poi vendeva ad un prezzo inferiore rispetto a quello del mercato, per cui i clienti non gli mancavano e poteva così permettersi di mettere su una famiglia.
Ivo era un tipo molto furbo e questa sua peculiarità gli fu molto utile in seguito quando, in tempo di guerra, insieme a Leonetto, dovevano arrangiarsi per trovare qualcosa per le loro necessità, con i militari tedeschi o con le famiglie del paese dove andarono sfollati.
Piera invece era un'ambiziosa e non avrebbe mai sposato un ortolano, lei mirava a qualcosa di più gratificante, ma il destino, si sa, spesso non ti accontenta e si fidanzò con un elettricista con poche lire in tasca.
Era amica di Franca, una bella ragazza, umile sia di modi che di aspetto che lavorava come sarta anche lei insieme a Ida, per l'Unione militare.
Qualche volta uscivano a prendere un gelato in Piazza Grande, dove di solito si ritrovavano i ragazzi per stare in compagnia e dove vicino c'era il posto di lavoro di Franca, ma mai erano state l'una in casa dell'altra.

Cap. 3
Leonetto era del 1920 e quando l'Italia, sotto il governo di Mussolini, entrò in guerra alleata con la Germania, a soli 20 anni fu richiamato alle armi e inviato per la conquista dell'Albania, nonostante fosse orfano di padre e dovesse mantenere la famiglia con il suo lavoro.

Il giorno della partenza sua madre e le sorelle lo salutarono piangendo, davanti alla caserma dove erano in fila indiana diversi camion che avrebbero portato i soldati ad Ancona, per imbarcarsi sulle navi da guerra dirette in Albania.
Erano tutti ragazzi, dalle facce pulite, quasi senza l'ombra della barba che caratterizza la maturità dell'uomo, erano tutti consapevoli del pericolo, ma orgogliosi di poter essere utili per la patria. Leonetto no, non era un fanatico della guerra, non concepiva che esseri umani venissero uccisi per ambizioni di potere, aveva le lacrime agli occhi pensando che forse non avrebbe più fatto ritorno a casa e avrebbe lasciato la sua famiglia nella disperazione.
Sua madre, rimasta da sola a tirare avanti la baracca, presa dallo sconforto e dalla stanchezza piangeva giorno e notte, anche se le figlie in qualche modo cercavano di darle una mano, lavorando come aiutanti nel negozio di una pettinatrice che ormai conoscevano da anni. Scriveva a Leonetto una lettera alla settimana anche se non era certa che arrivassero a destinazione e ogni tanto riceveva una cartolina anche da lui.
Mentre aspettava che la nave salpasse, Leonetto avrebbe voluto saltare giù, scappare via e nascondersi, ma ormai, la sirena della nave annunciava che stava lasciando il porto e procedeva lentamente verso il porto di Durazzo, di pari passo con altri otto piroscafi e protetti da aerei militari.
Il cielo d'Aprile era sereno, il mare calmo, l'aria fin troppo calda e i soldati stavano seduti sul ponte a cantare, accompagnati dal suono di una chitarra che aveva portato con sé un ragazzo di Firenze. Sembrava che facessero una scampagnata, ma negli occhi di Leonetto c'era solo malinconia, voglia di non andare avanti, voglia di piangere, anche se dicevano che non era da uomini farlo.

Cap. 4

Dal comando militare, visto che Leonetto guidava molto bene ed era meccanico, gli era stato assegnato l'incarico, una volta arrivati a destinazione, di guidare uno dei camion che portavano i viveri e di riparare i motori quando ce ne fosse stata la necessità.
Non era vigliaccheria la sua, forse molta paura, ma pensare che non doveva andare direttamente a combattere, un po' lo tranquillizzava, anche se era consapevole che sarebbe andato in un luogo dove la guerra si faceva davvero e non con i fucili di legno e con gli elastici come munizioni che si costruiva da bambino, per giocare alla guerra con i suoi amici.
Come le bambine giocavano con le bambole a fare le mamme, così i maschi erano sempre in combattimento.
Su pezzi di legno abbastanza lunghi e stretti o sui manici delle scope tagliati a misura, piantavano all'estremità un chiodo che fungeva da mirino e applicavano dalla parte opposta due mollette da bucato, tenute ferme con una cordicella o incollate; poi intrecciavano a forma di catenella alcune rondelle ricavate dalle camere d'aria delle biciclette, con la lunghezza giusta per essere agganciata alle mollette e tirata fino al chiodo ed era così pronta l'arma per colpire gli avversari; bastava soltanto premere sulle mollette, che gli elastici guizzavano via ad una velocità non pericolosa, fino a raggiungere il bersaglio.
All'epoca ci si accontentava di poco e i bambini passavano le ore a nascondersi e colpirsi simulando un combattimento, senza immaginare che un giorno sarebbero dovuti partire per combattere veramente.

Ricordando la sua infanzia, Leonetto aveva sorriso fra sé, lasciando da parte per un po' i brutti pensieri che gli passavano per la mente da quando era partito.
Guardava il mare calmo increspato solo dalle scie lasciate dai piroscafi che avanzavano davanti e ogni tanto alzava lo sguardo sugli aerei militari che rombavano cupamente sopra le loro teste, coprendo quasi le voci dei suoi compagni che cantavano ancora.
Si cominciava già a vedere la costa, quando improvvisamente da un altoparlante, la voce austera del comandante diceva di prepararsi per lo sbarco e che tutti i soldati dovevano trovarsi sul ponte inferiore con i loro bagagli, entro mezz'ora.
Quella voce era stata come una martellata sulla testa e Leonetto, con un crampo allo stomaco, cominciò a raccogliere la sua roba, lentamente, pronto per avviarsi verso un'avventura più grande di lui.

Cap.5

Nonostante l'incarico di guidare il camion dei viveri non facesse allontanare troppo Leonetto dal campo, non era stato sufficiente a farlo stare tranquillo, perché ogni giorno era sempre più debole, mangiava poco e restare sotto l'acqua per ore, durante il servizio di vedetta che ogni tanto gli toccava fare, sentire gli spari e le cannonate dalle trincee, lo fecero ammalare.

“Polmonite”, disse il medico che lo aveva visitato dopo una nottata passata a fare la guardia al campo insieme ad altri due soldati. “Polmonite, ragazzo, hai una febbre da cavalli e dovrò fare un certificato per mandarti in licenza e per farti ricoverare in ospedale.” Il viaggio di ritorno fu lungo e complicato, ma nel frattempo almeno stava al caldo e all'asciutto. Fu ricoverato subito all'ospedale militare, da dove avvisarono la famiglia del suo arrivo.

Quando Ida sentì bussare alla porta e vide un giovane soldato che stava serio davanti a lei, sbiancò convinta che le portasse brutte notizie, immaginava il peggio e per un attimo un brivido le partì dai piedi fino ad arrivare alle punte dei capelli, la stessa sensazione che ebbe quando le dissero che Guglielmo, suo marito, non ce l'aveva fatta. Lo fece entrare e sedere per offrirgli un caffè caldo, quasi a volerlo trattenere più a lungo possibile senza farlo parlare. Poi, con le mani sul grembo si sedette anche lei e con gli occhi lucidi e un filo di voce gli chiese: “Cosa è successo a Leonetto?”

 

L'odore acre dell'etere e dei medicinali, il sole che filtrava dal finestrone della stanza, il chiacchiericcio di alcune persone accanto ai letti vicini al suo e la voce sommessa ma decisa di una suora, svegliarono Leonetto, ancora intontito dalla febbre.

“Su, su, sveglia, che sono venute tua madre e le tue sorelle!”
Ida aveva le lacrime agli occhi quando entrò nella corsia dell'ospedale militare, Ginetta e Piera la seguirono invece sorridendo e portando in mano un pacco di panni puliti e qualcosa da mangiare.
“Farò di tutto per farti restare a casa” disse Ida a Leonetto, abbracciandolo forte da non farlo quasi respirare. “Tu sei il capo-famiglia e noi siamo tre donne sole, e poi sei malato, lo capiranno che devono congedarti”.
Leonetto restò diversi giorni in ospedale e poi tornò a casa dimagrito e ancora debole, per fare la convalescenza, in attesa di essere rispedito in Albania.

Cap. 6

Intanto arrivavano notizie che la guerra continuava a mietere migliaia di vittime e in Albania addirittura alimentava l'odio fra i ribelli albanesi e i loro confinanti montenegrini. Bruciavano le case, i paesi dove passavano e distruggevano senza pietà intere famiglie e tutti quelli che incontravano.
Ida aveva incominciato a darsi da fare per trovare qualcuno che potesse far rimanere a casa Leonetto e attraverso l'Unione Militare riuscì a conoscere un Generale che forse poteva raccomandarlo.

Era una donna ancora piacente, Ida, abbastanza giovane per rifarsi una vita, magari più decente di quella che stava vivendo e spesso si trovava a dover rifiutare proposte di matrimonio da alcuni amici del marito, che ancora frequentavano il bar vicino casa.
Lei, donna di alti principi morali, voleva rimanere fedele a Guglielmo; lo aveva adorato fin dal primo momento che lo aveva conosciuto e poi aveva tre figli che non le facevano sentire il peso della vedovanza.
Ma era pur sempre una donna e come tale, la sua ambizione nel vestire e nell'acconciarsi i capelli la facevano apparire ancora attraente. Il suo corpo, fasciato da abiti semplici ma che mettevano in evidenza le sue forme procaci, attirava l'attenzione di chi le passava accanto e lei, pur restando sulle sue convinzioni, si compiaceva.
Quando bussò alla porta del Generale le tremavano le gambe, ma con la forza di una madre che doveva salvare il figlio dalla bruttura della guerra, si fece forza ed entrò con fermezza e determinazione nella stanza, rischiarata dal sole che filtrava attraverso una grande finestra con appesa una tenda di tela grezza.
Si notava che era un ufficio militare, perché c'erano mappe di ogni tipo sparse sulla scura scrivania di legno massello, un grande mappamondo politico poggiato in terra in un angolo accanto ad uno schedario sempre di legno, la bandiera italiana attaccata al muro come stendardo e la foto di Mussolini appesa sulla parete alle spalle del Generale, che stava seduto su una poltrona nera, dietro la scrivania.
Il Generale accettò subito di leggere la lettera di richiesta che lei aveva scritto per far restare Leonetto a casa e poter così continuare a lavorare per mantenere la famiglia. Forse perché era rimasto incantato da quella donna, bella di aspetto e semplice di modi, che rassicurò Ida di stare tranquilla e aspettare la risposta, entro pochi giorni.

Cap. 7
Era una bella giornata di sole e l'aria mite, nonostante l'inverno non fosse ancora finito e Franca stava preparandosi per andare a casa di Piera. L'aveva invitata a prendere un caffè, il giorno avanti quando si erano incontrate per il solito giro in centro.
“Domani potresti venire a casa mia”, le disse Piera prendendola sottobraccio, “mia madre ha preparato un dolce e poi ti farei conoscere mio fratello che è in convalescenza per una polmonite presa in Albania, dove è stato inviato dall'esercito come autista”.
Al pensiero che c'era un ragazzo in casa della sua amica, Franca, allora diciottenne, si sentiva già in imbarazzo e non sapeva come vestirsi per fare bella figura. D'altronde non avendo un guardaroba fornito aveva ben poco da scegliere, ma aveva gusto e questo le permetteva di essere sempre carina anche con uno straccetto.
Con una camicetta bianca e un maglioncino marrone sopra ad una gonna godet di velluto beige, vide riflessa sullo specchio del suo armadio una figurina esile ma piacevole, messa in risalto da quell'abbigliamento seppure sobrio... sì, si piaceva. Si infilò il cappotto e uscì di corsa perché non voleva perdere il tram che l'avrebbe portata a casa di Piera.
Ida, ancora con il grembiule in dosso perché era in cucina a sistemare il dolce, andò ad aprire la porta a Franca, accompagnandola poi in salotto dove l'aspettavano i suoi tre figli. “Vieni Franca, ti stanno aspettando” le disse Ida dopo averla abbracciata con affetto “c'è anche Leonetto, sai, è militare in Albania ma ora è in convalescenza e io sto dandomi da fare per farlo congedare”.
Leonetto era seduto su una poltroncina stando con le gambe stese su una sedia posta davanti. Prima che lui si alzasse per salutarla dopo le presentazioni, Franca notò che portava delle scarpe vecchie e un buco faceva da bella vista sulla suola di cuoio consumato. Questo particolare la fece sorridere, perché aveva sempre pensato che il suo eventuale principe azzurro l'avrebbe fatta felice, anche se avesse avuto i buchi sotto le scarpe.
Leonetto era un bel ragazzo bruno, con i capelli lisci tirati indietro e tenuti fermi dalla brillantina, aveva un paio di baffetti alla Clark Gable e due occhi che ipnotizzavano a guardarlo, ma non era molto loquace, infatti salutò Franca con un sorriso appena accennato, guardandola a lungo, poi si rimise subito seduto, senza dire altro.
Sicuramente fu un colpo di fulmine perché, dopo che Leonetto dovette ripartire per l'Albania, da laggiù scrisse una lettera a Franca dichiarandole il suo amore. Si erano rivisti qualche altra volta insieme a Piera, ma mai lui le aveva accennato qualcosa, anche se Franca aveva capito di piacergli dai suoi sguardi.
Erano altri tempi quelli, e le dichiarazioni d'amore venivano fatte con molto romanticismo.
Franca ha sempre conservato quella lettera, che conteneva anche una rosa rossa, in una scatola con tutte le altre lettere che lui le mandava dal campo, prima di tornare definitivamente in congedo.


Cap. 8

Il rumore delle macchine da cucire non permetteva di scambiare neppure una parola tra le donne che confezionavano le divise militari e Ida ne approfittava per finire presto il suo lavoro e correre a casa a preparare da mangiare. China sulla sua macchina, non aveva udito la voce del soldato che la chiamava mentre Franca, che era più vicina, si alzò e la fece voltare.
“Ida, ho l'ordine del Generale di accompagnarla da lui... finisca quella cucitura e poi andiamo”.
Le due donne si guardarono e con gli occhi lucidi Franca la salutò sorridendo senza dire una parola, tanto dopo il lavoro sarebbe passata da casa sua per sapere se ci fossero state novità.
Ormai Franca andava spesso a casa di Ida, confidandosi anche con Ginetta e Piera sull'amore che provava per il loro fratello e sui progetti che facevano scrivendosi e che avrebbero messo in pratica al ritorno di Leonetto a casa. Aveva trovato una seconda famiglia, tutti le volevano bene e lei era già felice così.

“Signora Ida” le disse il Generale, facendola gentilmente sedere davanti alla sua scrivania “Suo figlio, la settimana prossima, farà ritorno a casa e sarà congedato definitivamente. E' già un grosso impegno essere il capo-famiglia alla sua giovane età e stare lontano, sia pure per la patria, non può esservi d'aiuto. Si asciughi quelle lacrime, su! I suoi begli occhi non si devono sciupare”.
Da vero gentiluomo accompagnò Ida alla porta poggiandole un braccio sulla spalla e le strinse la mano con una certa emozione.

Per strada non vedeva neppure chi le passava vicino, perché Ida era così felice che il suo pensiero andava oltre, canticchiava e camminava a passo veloce per tutto il tragitto fino a casa. Appena la videro trafelata e sorridente, Ginetta e Piera le corsero incontro per chiederle cosa era successo e Ida, abbracciandole, urlò “torna a casa! Leonetto torna a casa la prossima settimana e non partirà più!”
Erano ancora tutte e tre abbracciate quando sentirono bussare alla porta. Era Franca che non stava più nella pelle per sapere che cosa aveva detto il Generale.
“Torna a casa! Leonetto torna a casa la prossima settimana e gli daranno il congedo! E' stato così gentile il Generale, che dovremo fargli un regalo, ragazze, magari gli cuciremo gratis una bella divisa”.
Franca cominciò a saltare, prese Piera per le mani facendola girare mentre già immaginava l'incontro con Leonetto, che non vedeva da due mesi. Poi, con le lacrime agli occhi dalla gioia, abbracciò Ida e come se fosse di fronte a sua madre le disse: “Ida, lei è davvero una donna forte, coraggiosa e quando si mette in testa una cosa, la ottiene sempre, le voglio bene davvero!”

 

Cap. 9

Sul vecchio camino con i fornelli a carbone, Franca stava preparando il pranzo, con il grembiule da cucina sopra un vestitino di lana color pervinca e i capelli fermati con due pettini.
Il suo aspetto non era certo preparato per ricevere gente, sia pure fosse sempre carina anche se mal vestita, e quando udì bussare alla porta, si tolse in fretta il grembiule e guardandosi allo specchio dell'andito si ravviò i capelli, poi, aprì la porta.
Rimase senza fiato quando si trovò di fronte quel bel ragazzo bruno di capelli, che la fissava con un sorriso appena accennato. Era Leonetto. Gli saltò al collo con impeto e meraviglia, tanto che lo fece balcollare e cominciò a tempestarlo di domande sulla sua salute, sulla guerra, sul viaggio di ritorno dall'Albania e Leonetto la stava a guardare innamorato, senza dire una parola.

Gli tremavano le mani quando aprì la scatolina di velluto blu e con un filo di voce le disse: “Franca, vuoi sposarmi?”
Era un anello d'oro giallo a forma di fiocco con il nodo centrale di platino, che Franca si mise immediatamente al dito.
“Sai, c'erano solo due modelli, questo e un altro identico con incastonato nel nodo un brillante, come simbolo di fidanzamento, ma non potevo comprarlo e io volevo regalarti subito un anello...”. “Ma è bellissimo... è bellissimo!” disse Franca emozionata, abbracciandolo e baciandolo “sì ti voglio sposare e stare sempre con te... sempre!”

Cominciarono i primi bombardamenti sulla città e ogni volta che sentiva l'allarme che preannunciava l'incursione aerea, Franca usciva di casa terrorizzata e correndo con i piedi che le battevano al sedere (lo raccontava sempre ai suoi figli, quando erano piccoli, come fosse stata una favola), andava nel rifugio che era stato ricavato nel sotterraneo di un palazzo vicino casa sua.
In quel sotterraneo, che sembrava più una trappola per topi che un rifugio, perché se fosse crollato il palazzo colpito da una bomba non ci sarebbe stato scampo per nessuno, si trovavano altre persone illudendosi che fosse un posto sicuro o almeno che potessero evitare le schegge delle bombe o lo spostamento d'aria.

Leonetto, che ormai si era ristabilito completamente dalla polmonite, aveva ripreso a lavorare come meccanico e ogni volta che si trovava distante da Franca durante i bombardamenti, stava male al pensiero che fosse sola e le potesse capitare qualcosa di brutto.
Dalla città bombardata, intanto, molte persone furono costrette a sfollare verso le campagne vicine, dove le bombe non potevano arrivare e così anche Ida con le figlie e i loro mariti Ivo e Antonio che avevano sposato qualche mese prima, insieme a Leonetto con Franca, decisero di andare in un paese più sicuro fino alla fine della guerra.
Si sposarono prima di partire, semplicemente, senza invitati, senza cerimonie come invece tutte le ragazze sognavano e senza fare il viaggio di nozze.
C'era la guerra... era sopra le loro teste... ma felici di rimanere insieme qualsiasi cosa fosse accaduta, si accontentarono che il loro viaggio di nozze iniziasse dalla città fino al paese di campagna, dove furono ospitati da alcune famiglie che avevano dei casali ormai adibiti a centri di accoglienza, in attesa di trovare qualche lavoretto da fare per sopravvivere.

Cap. 10

Leonetto morì a soli 67 anni, ma con Franca fu felice per oltre quaranta, superando insieme le difficoltà incontrate dopo la guerra per ricostruirsi un avvenire dignitoso e sempre complici per qualsiasi decisione da prendere.
Restano nella mente come esempio della famiglia, dell'onestà, della condivisione, del sacrificio, ma soprattutto dell'amore vero, essenziale, indissolubile, quell'amore che ti fa stare mano nella mano fino alla vecchiaia, fino alla morte.

 

FINE

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